Siamo tutti Caregivers

giovedì 29 aprile 2021

Torna il Caregiver Day

A maggio torna il Caregiver Day «Sentieri di cura post Covid-19» è il tema dell’undicesima edizione del Caregiver Day, che trae ispirazione innanzitutto dalla consapevolezza che in questo ultimo difficile anno la pandemia ha cambiato profondamente le nostre esistenze. La cura ha mostrato di essere essenziale nel dare speranza, accoglienza, sostegno. E proprio per questo il prendersi cura va riconosciuto, sostenuto, valorizzato, ma anche riprogettato, riconnesso, integrato nelle nostre vite. Un lavoro di cura sostenibile attraverso servizi di prossimità e welfare di comunità, tra generi e generazioni, tra casa e lavoro, tra distanza e presenza, tra teologia e contatto in presenza. Di tutto questo tratta dunque la prossima edizione del Caregiver Day (giornate dedicate al familiare che si prende cura di un proprio caro), articolato in una serie di incontri che si terranno da remoto, in modalità webinar, ogni venerdì di maggio 2021 dalle ore 15,00 alle ore 17,00. L’accesso agli appuntamenti è gratuito previa iscrizione. La manifestazione, realizzata dalla cooperativa sociale Anziani e non solo, è sostenuta dall’Unione dei Comuni delle Terre d’Argine, patrocinata dalla Regione Emilia Romagna, da Carer Aps – Associazione dei Caregiver Familiari dell’Emilia Romagna e dall’Ausl di Modena. Il programma, al via dal 7 maggio prossimo, prevede quattro incontri che daranno spazio a risultati di ricerca, riflessioni, esperienze e testimonianze, con l’idea di aiutare a ripartire…. dando corpo a un nuovo paradigma di cura. Scarica il programma completo sul sito del Caregiver Day: www.caregiverday.it https://www.senzeta.it/a-maggio-torna-il-caregiver-day/?fbclid=IwAR1xp1G4-9d5dNTG855wvlLh6t04vqZvkuYTw7UYO-r_PxbuDm-W4Ka-4Pc

Vaccino per i Caregivers

Associazioni ed enti del terzo settore a sostegno dei cittadini per la campagna vaccinale. Contattando le associazioni, dunque, sarà possibile essere guidati nella procedura di prenotazione: questo risulterà particolarmente utile per chi ha difficoltà con la tecnologia e per chi non ha gli strumenti informatici necessari. Caritas diocesana – piazzale Arrigoni (centrostorico), 0583.430939, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 16; Caritas S. Anna – 0583.430939, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13; Misericordia Lucca – piazza della Misericordia (centro storico), 0583.492003, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13; Croce Rossa – Piazza Don Baroni, 0583.341216, Sabato dalle 14.30 alle 17.30 Croce Verde Lucca – via Pesciatina, 0583.467713, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13, e il martedì e il giovedì anche dalle 14 alle 16; Croce Verde Ponte a Moriano – 0583.406490, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12; Protezione Civile – 0583.409061, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 14; Anpana – Sant’Alessio, 366.2780347, martedì dalle 16 alle 18 e il sabato dalle 11 alle 13; Centro cittadinanza attiva Oltreserchio “Il Bucaneve” – Santa Maria a Colle, via della Chiesa, 24, 349.6579289, martedì dalle 15 alle 17; ACAT – Piaggione, 0583.436270, mercoledì dalle 14.30 alle 16.30 AMNIL – Via Galli Tassi, 69, 0583.316068, dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12 Fonte: Comune di Lucca

sabato 24 aprile 2021

Prenota vaccino anti Covid

https:// prenotavaccino.sanita.toscana.it/#/new- adhesion/ef.

La vita dei Caregivers familiari

La vita dei caregiver familiari Cinzia è la mamma di Francesca, vent’anni, che a causa di una grave sofferenza perinatale, è affetta da un grave ritardo mentale. «Quando morirò lascerò una ragazzina che non parla e che non è capace di difendersi. Non so che fine farà. Vedo tante cose brutte che accadono nei centri per disabili e nelle Rsa. Siamo totalmente abbandonati», dice a VD. «Non si trovano risposte nella politica, siamo lasciati soli. Solo in tempo di elezioni ci cercano. Ci promettono rivoluzioni sul tema della disabilità». Il ministero? «Un carrozzone inutile. Alla testa non c’è mai un caregiver». Come molti caregiver, Cinzia ha abbandonato il lavoro per prendersi cura della figlia. «Stiamo usando tutti i nostri risparmi. Quando hai una persona disabile in casa le famiglie si impoveriscono moltissimo. Non voglio più che le persone mi dicano che se te l’ha data il Signore vuol dire che eri capace di accettarlo. Nessuno non me lo dire più questa cosa». In quanto a strutture per disabili, l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa. «Quando la famiglia è stanca si accontenta di poco, un centro vale l’altro. E i politici tante volte ci prendono per stanchezza. Come fai andare a protestare a Roma? È veramente faticoso con un figlio disabile. E nessuno manifesta al posto nostro per i diritti dei disabili o dei caregiver familiari. Melissa Aglietti | 22.04.21

Vive 10 anni meno un Caregiver familiare

Sono milioni in Italia i Caregivers,gli assistenti che a titolo gratuito si occupano di un proprio congiunto non autosufficiente. Costretti dal destino a un lavoro usurante, che non prevede il riposo, vivono dai 9 ai 17 anni meno della media nazionale, stando a uno studio del premio Nobel Elizabeth Blackburn. Un dato che riflette una vita fatta di rinunce e solitudine, che si snoda tra le domande per farsi riconoscere caregiver, le promesse mai rispettate delle istituzioni e la speranza di un responso dalla politica. Che come tutta risposta ha creato il Ministero della Disabilità. Un ministero senza portafoglio che difficilmente farà la differenza.

Pronto il Recovery Plan. Nasce un nuovo centro di eccellenza per le epidemie e la sanità diventa sempre più di “prossimità”. Più cure domiciliari e telemedicina ma anche nuovi ospedali hi-tech

Ma non solo, nel Piano prevista la costruzione di 380 ospedali di comunità e di 1.288 Case della Comunità, il potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico, la riforma degli Irccs, più borse per la medicina generale e le specializzazioni mediche. Per realizzarlo previsti 15,6 mld di risorse dal fondo Rrf a cui dovrebbero sommarsi circa 2,9 mld del Fondo complementare e 1,7 mld dal React Eu. Il testo pronto per l'esame finale del Consiglio dei ministri. IL PIANO Case della Comunità, assistenza domiciliare, ospedali di Comunità, telemedicina, potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico, riforma degli Irccs, ammodernamento tecnologico degli ospedali, più borse per la medicina generale e le specializzazioni mediche, maxi piano di formazione sulle infezioni ospedaliere e istituzione di un centro di eccellenza per le epidemie. Sono queste le direttirici del Recovery Plan italiano che il Governo si appresta ad approvare e per cui sono previsti 15,6 mld di risorse dal fondo Rrf a cui dovrebbero sommarsi circa 2,9 mld del Fondo complementare e 1,7 mld dal React Eu (questi ultimi però non sono indicati nel dettaglio). Ecco tutti progetti del Recovery Plan La missione Salute si articola in due componenti per un totale di risorse prese dal RRF di 15,6 miliardi: 1. Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale: gli interventi di questa componente intendono rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari; 2. Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale: le misure incluse in questa componente consentiranno il rinnovamento e l’ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali esistenti, il completamento e la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), una migliore capacità di erogazione e monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) attraverso più efficaci sistemi informativi. Rilevanti risorse sono destinate anche alla ricerca scientifica e a favorire il trasferimento tecnologico, oltre che a rafforzare le competenze e il capitale umano del SSN anche mediante il potenziamento della formazione del personale. L’impatto sul PIL di questa missione è dell’1,1 per cento in tutto l’orizzonte temporale, con un effetto dello 0,5 per cento per la prima componente e dello 0,6 per cento per la seconda.

giovedì 22 aprile 2021

Vaccinazione anti Covid 19 Fragili

Regione Toscana PIÙ TI CURI, PIÙ SICURI VACCINAZIONE ANTI COVID-19 PERSONE CON ELEVATA FRAGILITÀ 1) CATEGORIA A se appartieni alla Categoria A (consulta la tabella delle patologie su regione.toscana.it/vaccinicovid e verifica se è presente il tuo codice di esenzione) 2) CATEGORIA B se appartieni alla Categoria B (consulta la tabella delle patologie su regione.toscana.it/vaccinicovid e verifica se è presente il tuo codice di esenzione) SE SEI REGISTRATO SUL PORTALE, vieni CONTATTATO DIRETTAMENTE dalle strutture sanitarie di riferimento e NON DEVI FARE ALCUNA PRENOTAZIONE SUL PORTALE SE NON SEI REGISTRATO SUL PORTALE, puoi iscriverti su prenotavaccino.sanita.toscana.it SE SEI REGISTRATO SUL PORTALE, puoi prenotare il tuo appuntamento su prenotavaccino.sanita.toscana.it, inserendo il codice di prenotazione di 8 cifre ricevuto via sms Casi particolari: - chi non ha ancora ricevuto l'sms con il codice di prenotazione lo riceverà quando arriveranno nuove dosi di vaccini - chi ha perso il codice potrà recuperarlo entrando sul portale - chi ha ricevuto l'sms con il codice di prenotazione e ha già fatto la prima dose del vaccino deve ignorare il messaggio e recarsi normalmente all'appuntamento per la seconda dose SE NON SEI REGISTRATO SUL PORTALE, puoi iscriverti su prenotavaccino.sanita.toscana.it

Vaccini. Chi deve prenotare e chi sarà chiamato

Due elenchi distinti: un gruppo verrà contattato dalle Asl, l'altro deve prenotarsi a partire dal 7 aprile (ma non sarà un click day) (La Nazione)

Sono un soggetto fragile, come posso prenotare un vaccino?

Se la tua patologia rientra in una di quelle comprese nella Categoria A, non dovrai far altro che attendere la chiamata da parte delle strutture sanitarie di riferimento e non è necessario fare alcuna prenotazione sul portale (anche se hanno già ricevuto sms con codice). Se, invece, la tua patologia rientra in una di quelle previste nella Categoria B oppure sei un soggetto portatore di disabilità gravi, ai sensi della legge 104/1992 art. 3 comma 3, sarà necessario prenotare la vaccinazione sul portale regionale. Riceverai un sms non appena verrano riaperte le agende per la prenotazione, in modo da permetterle di fissare un appuntamento. Condizione: PRENOTAZIONE

Sono un soggetto fragile, perché devo aderire sul portale?

Occorre preaderire per entrare nel registro vaccinale regionale delle persone con elevata fragilità, per avere gli elementi per organizzare al meglio la loro vaccinazione (anche a domicilio) e non escludere nessuno da questo filone prioritario di vaccinazione. Chi vi accede, dovrà indicare la propria patologia, l’eventuale codice di esenzione, presso quale eventuale struttura è in cura (ospedale, centro specializzato o altro), se si può spostare da casa, e altre informazioni utili alla personalizzazione del migliore percorso vaccinale possibile. Condizione: PREADESIONE

Quale tipo di vaccino per i fragili?

Per il momento Moderna. Se disponibile, anche il Pfizer

Sono un soggetto fragile, perché devo aderire sul portale?

Occorre preaderire perentrare nel registro vaccinale regionale delle persone con elevata fragilità, per avere gli elementi per organizzare al meglio la loro vaccinazione (anche a domicilio) e non escludere nessuno da questo filone prioritario di vaccinazione. Chi vi accede, dovrà indicare la propria patologia, l’eventuale codice di esenzione, presso quale eventuale struttura è in cura (ospedale, centro specializzato o altro), se si può spostare da casa, e altre informazioni utili alla personalizzazione del migliore percorso vaccinale possibile. Condizione: PREADESIONE

Chi sono le Persone con elevata fragilità?

Con “elevata fragilità” si intendono le persone “estremamente vulnerabili” con patologie, incluse nelle aree di patologia Categoria A e Categoria B, e le persone portatrici di disabilità gravi ai sensi della legge 104/1992 art. 3 comma 3, come da raccomandazioni ministeriali (Approvazione del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sars-CoV-2, costituito dal documento recante «Elementi di preparazione della strategia vaccinale», di cui al decreto 2 gennaio 2021, nonché dal documento recante «Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti Sars-CoV-2/Covid-19» del 10 marzo 2021 - GU Serie Generale n.72 del 24-03-2021). Condizione: ELEVATA FRAGILITÀ

Siamo genitori di minore di 16 anni. Dobbiamo registrare il minore e poi i nostri nominativi, oppure essendo in carico all'Azienda sanitaria non dobbiamo farlo? E se siamo seguiti dal Meyer?

Si, occorre che registriate il minore nel portale www.prenotavaccini.sanita.toscana.it. Durante la compilazione, nel form troverete la domanda relativa alla presenza di conviventi o caregiver non vaccinati. Lì potete registrarvi. Quindi, vi chiamerà il Centro di riferimento che avete inserito nella preadesione. Condizione: MINORI DI 16 ANNI - CAREGIVER 12 - Siamo genitori di minori di 16 anni seguito dal Meyer, come dobbiamo procedere per l’adesione alla vaccinazione? Occorre che registriate il minore. Vi chiamerà il Centro di riferimento che avete inserito nella preadesione, quindi il Mayer. Condizione: MINORI DI 16 ANNI - CAREGIVER - EXTRA

Domande sulla vaccinazione Covid soggetti fragili

Le indicazioni complete per la Vaccinazione di persone estremamente vulnerabili o disabili gravi sono riportate in Gazzetta Ufficiale, Serie generale n.72 del 24/3/2021 Elenco delle patologie "Estremamente vulnerabili": Tabella A - Tabella B Domande: 1 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Sono nella Categoria B. Ho un’esenzione. Riceverai un codice di prenotazione con cui potrai prenotarti direttamente sul portale www.prenotavaccino.sanita.toscana.it. Condizione: PREADESIONE - CATEGORIA B - ESENZIONE 2 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Sono nella Categoria B. Non ho un’esenzione. Riceverai un codice di prenotazione con cui potrai prenotarti sul portale www.prenotavaccino.sanita.toscana.it ma dovrai, per essere vaccinato, portare al momento della vaccinazione la documentazione clinica che attesti la Categoria. Condizione: PREADESIONE - CATEGORIA B - NO ESENZIONE 3 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Sono nella Categoria B ma ho una patologia che non prevede l’esenzione. Riceverai un codice di prenotazione con cui potrai prenotarti sul portale www.prenotavaccino.sanita.toscana.it ma dovrai, per essere vaccinato, portare al momento della vaccinazione, la documentazione clinica che attesti la Categoria. Condizione: PREADESIONE - CATEGORIA B - PATOLOGIA NO - ESENZIONE 4 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Ho una fascia di esenzione prevista dalla Categoria A. Sono seguito da un Centro dell’Asl Toscana sud est. Sarà verificata la tua situazione e, se risponde a quanto previsto dalle raccomandazioni ministeriali riceverai un sms con data e ora della vaccinazione. Se NON dovesse risponderealle raccomandazioni ministeriali sarai informato su come vaccinarti secondo l’età o le altre categorie previste nel Piano Vaccinale ministeriale. Condizione: PREADESIONE - CATEGORIA A - ESENZIONE - CENTRO ASL 5 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Non ho una fascia di esenzione prevista dalla Categoria A (per le patologie in cui è prevista un’esenzione). Sono seguito da un Centro della Asl Toscana sud est. Sarà verificata la tua situazione e, se risponde a quanto previsto dalle raccomandazioni ministeriali riceverai un sms con data e ora della vaccinazione. Se NON dovesse rispondere alle raccomandazioni ministeriali sarai informato su come vaccinarti secondo l’età o le altre categorie previste nel Piano Vaccinale ministeriale. Condizione: PREADESIONE - CATEGORIA A - NO ESENZIONE - CENTRO ASL 6 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Non ho una fascia di esenzione prevista dalla Categoria A (per le patologie in cui è prevista un’esenzione). Sono seguito da un Centro toscano ma non dalla Asl Toscana sud est. Sarai chiamato dal Centro di riferimento e, se la tua situazione risponde a quanto previsto dalle raccomandazioni ministeriali, sarai inserito nelle loro liste di prenotazione. Se non risponde alle raccomandazioni ministeriali sarai informato su come vaccinarti secondo l’età o le altre categorie previste nel Piano Vaccinale ministeriale. Condizione: PREADESIONE - CATEGORIA A - NO ESENZIONE - CENTRO EXTRA ASL 7 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Ho preaderito sul portale. Ho una patologia per la quale non è prevista un’esenzione. Sono seguito dal mio medico di famiglia o da un Centro fuori dalla Regione Toscana. Riceverai un SMS nel quale sarai invitato a mandare un’e-mail al nostro Centro con la documentazione del medico di famiglia o del Centro extra regione Toscana che ti segue. Se la tua situazione risponde a quanto previsto dalle raccomandazioni ministeriali riceverai un sms con data e ora della vaccinazione della nostra Azienda, se non risponde alle raccomandazioni ministeriali sarai informato sulle modalità per la vaccinazionesecondo l’età o le altre categorie previste nel Piano Vaccinale ministeriale. Condizione: PREADESIONE - PATOLOGIA NO ESENZIONE - CENTRO EXTRA ASL - MEDICO DI FAMIGLIA 8 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Non ho preaderito sul portale. Ho una fascia di esenzione tra quelle previste nella Categoria A. Sono seguito nel territorio della regione Toscana. Se sei seguito nel territorio della regione Toscana devi rivolgerti al tuo Centro di riferimento che una volta verificato che la tua situazione risponda a quanto previsto dalle raccomandazioni ministeriali ti inserirà nelle liste di prenotazione. Se non risponde alle raccomandazioni ministeriali sarai comunque informato sulle modalità per la vaccinazione secondo l’età o le altre categorie previste nel Piano Vaccinale ministeriale. Condizione: NO PREADESIONE - CATEGORIA A - ESENZIONE - CENTRO INTRA REGIONE TOSCANA 9 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Non ho preaderito sul portale. Ho una fascia di esenzione tra quelle previste nella Categoria A. Non sono seguito da nessun Centro. Se non sei seguito da nessun Centro dovrai aspettare la riapertura del portale per la preadesione. Condizione: NO PREADESIONE - CATEGORIA A - ESENZIONE - NO CENTRO RIFERIMENTO 10 - Appartengo alla fascia degli estremamente vulnerabili. Non ho preaderito sul portale. Rientro nella Categoria B. Dovrai aspettare la riapertura del portale. Condizione: NO PREADESIONE - CATEGORIA B 11 - Siamo genitori di minori di 16 anni. Dobbiamo registrare il minore e poi i nostri nominativi, oppure essendo in carico all'Azienda sanitaria non dobbiamo farlo? E se siamo seguiti dal Meyer? Si, occorre che registriate il minore nel portale www.prenotavaccini.sanita.toscana.it. Durante la compilazione, nel form troverete la domanda relativa alla presenza di conviventi o caregiver non vaccinati. Lì potete registrarvi. Quindi, vi chiamerà il Centro di riferimento che avete inserito nella preadesione. Condizione: MINORI DI 16 ANNI - CAREGIVER 12 - Siamo genitori di minori di 16 anni seguito dal Meyer, come dobbiamo procedere per l’adesione alla vaccinazione? Occorre che registriate il minore. Vi chiamerà il Centro di riferimento che avete inserito nella preadesione, quindi il Mayer. Condizione: MINORI DI 16 ANNI - CAREGIVER - EXTRA ASL 13 - Chi sono le persone con elevata fragilità? Con “elevata fragilità” si intendono le persone “estremamente vulnerabili” con patologie, incluse nelle aree di patologia Categoria A e Categoria B, e le persone portatrici di disabilità gravi ai sensi della legge 104/1992 art. 3 comma 3, come da raccomandazioni ministeriali (Approvazione del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sars-CoV-2, costituito dal documento recante «Elementi di preparazione della strategia vaccinale», di cui al decreto 2 gennaio 2021, nonché dal documento recante «Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti Sars-CoV-2/Covid-19» del 10 marzo 2021 - GU Serie Generale n.72 del 24-03-2021). Condizione: ELEVATA FRAGILITÀ 14 - Che tipo di vaccino è stato riservato ai soggetti con elevata fragilità? Per il momento Moderna. Condizione: TIPO VACCINO 15 - Sono un soggetto fragile, perché devo aderire sul portale? Occorre preaderire perentrare nel registro vaccinale regionale delle persone con elevata fragilità, per avere gli elementi per organizzare al meglio la loro vaccinazione (anche a domicilio) e non escludere nessuno da questo filone prioritario di vaccinazione. Chi vi accede, dovrà indicare la propria patologia, l’eventuale codice di esenzione, presso quale eventuale struttura è in cura (ospedale, centro specializzato o altro), se si può spostare da casa, e altre informazioni utili alla personalizzazione del migliore percorso vaccinale possibile. Condizione: PREADESIONE 16 - Sono un soggetto fragile, perché al momento non riesco a registrarmi? Perché siamo entrati nella fase di prenotazione e vaccinazione (in funzione della disponibilità di vaccini). La registrazione sarà riaperta in seguito. Condizione: PREADESIONE 17 - Sono un soggetto fragile, come posso prenotare un vaccino? Se la tua patologia rientra in una di quelle comprese nella Categoria A, non dovrai far altro che attendere la chiamata da parte delle strutture sanitarie di riferimento e non è necessario fare alcuna prenotazione sul portale (anche se hanno già ricevuto sms con codice). Se, invece, la tua patologia rientra in una di quelle previste nella Categoria B oppure sei un soggetto portatore di disabilità gravi, ai sensi della legge 104/1992 art. 3 comma 3, sarà necessario prenotare la vaccinazione sul portale regionale. Riceverai un sms non appena verrano riaperte le agende per la prenotazione, in modo da permetterle di fissare un appuntamento. Condizione: PRENOTAZIONE 18 - Di quale Categoria faccio parte? Clicca e controlla dove rientra il tuo codice esenzione: Tabella A - Tabella B Condizione: CATEGORIE 19 - Cosa è un codice di sicurezza (OTP)? Il codice di sicurezza (OTP) è un codice di 6 cifre per garantire l’identità della persona. Condizione: OTP - 6 CIFRE 20 - Cosa è un codice di prenotazione? Il codice di prenotazione a 8 cifre serve, invece, per entrare nel portale e prenotare il proprio appuntamento. Condizione: PRENOTAZIONE - 8 CIFRE 21 - Io mi sono registrato avendone diritto, ma non ho ricevuto ancora il messaggio con il codice di prenotazione, cosa devo fare? Riceverai il codice di prenotazione, quando verranno riaperte le prenotazione in relazione alle dosi che saranno rese disponibili per la Toscana. Condizione: MESSAGGIO 22 - Ho ricevuto il codice di prenotazione ma ho già ricevuto la prima dose. Cosa devo fare? Puoi ignorare il messaggio con il codice e presentarsi per il richiamo (seconda dose) nella data e nel luogo previsti. Condizione: MESSAGGIO 23 - Cosa significa quando c’è scritto “chiuso” sulle categorie del portale? Significa che sono temporaneamente sospese le prenotazioni in attesa delle nuove forniture di vaccino per la Toscana. Condizione: PORTALE 24 - Quando riapre il portale per le prenotazioni? Il portale apre quando sono disponibili nuove dosi di vaccino per la Toscana, destinate alla Categoria di riferimento. Condizione: PORTALE 25 - Sono un soggetto fragile minorenne, quanto devo aspettare? Per il momento l’unico vaccino autorizzato per i minorenni dai 16 anni in su è Pfizer. Le vaccinazioni con Pfizer di questa Categoria di minori inizieranno dal 25 aprile, quando ci saranno maggiori dosi disponibili. Condizione: MINORI 26 - Sono un genitore/tutore/affidatario di un minorenne con meno di 16 anni. Posso vaccinarmi? Sì. I genitori/tutori/affidatari di minori fino a 16 anni (con gravi patologie e/o disabilità), a oggi non vaccinabili in virtù della loro età, che si sono già registrati sul portale regionale vengono contattati dalle aziende sanitarie. Condizione: MINORI 27 - Sono un convivente/caregiver di un minorenne con meno di 16 anni. Posso vaccinarmi? Per i conviventi e/o caregiver delle persone con patologie per le quali il piano nazionale ne prevede la vaccinazione (Categoria A e Categoria B), già registrati sul portale, verrà aperto successivamente un nuovo canale di prenotazione. A questi soggetti verrà somministrato il vaccino AstraZeneca, in relazione alla quantità di forniture che la Toscana riceverà. Condizione: MINORI 28 - Sono una persona estremamente vulnerabile impossibilitata a muovermi. Come posso fare? Le persone estremamente vulnerabili e/o con disabilità gravi, che hanno dichiarato in fase di registrazione di essere impossibilitate a muoversi, vengono contattate dalle aziende sanitarie territoriali e vaccinate a domicilio. Condizione: DOMICILIO 29 - Sono una persona estremamente vulnerabile con più di 80 anni. Da chi verrò contattata/o per la vaccinazione? Verrà contattata dal proprio medico di famiglia e/o dalla struttura sanitaria da cui è seguita. Condizione: ULTRAOTTANTENNI 30 - Sono affetto da una patologia che non è indicata per la prenotazione dei vaccini, destinati agli estremamente vulnerabili. Perché? Se non è indicata è perché non è stata inclusa dal Governo nel piano nazionale, al quale dobbiamo attenerci. Condizione: ESENZIONE 31 - Perché le persone con grave obesità (BMI>35) appartengono alla Categoria degli estremamente vulnerabili, mentre le persone anoressiche no? Perché la patologia non è stata inclusa dal Governo nel piano nazionale, al quale dobbiamo attenerci. Condizione: ESENZIONE 32 - Per i malati di Alzheimer e le persone con demenza non è prevista alcuna priorità? Le gravi patologie in questa fase sono indicate dal piano nazionale del Governo. Per le persone con altre patologie le vaccinazioni proseguono in ordine di età. Condizione: ALZHEIMER 33 - Non posso preaderire dal portale ma sono un soggetto ultra fragile (Categoria A). Gli specialisti delle Asl possono integrare le persone della Categoria A con soggetti che non hanno potuto preaderire nel portale, che rispondono alle Raccomandazioni ministeriali e con quadro clinico critico che necessita vaccinazione. Condizione: CRITICO MA NON ULTRA FRAGILE 34 - Sono grande obeso BMI >35, ho preaderito nel portale, appartengo alla Categoria B. Riceverai un SMS con il codice di prenotazione con cui potrai prenotarti sul portale www.prenotavaccino.sanita.toscana.it, ma dovrai, per essere vaccinato, portare al momento della vaccinazione la documentazione clinica che attesti la tua appartenenza alla Categoria. Condizione: CATEGORIA B - OBESO 35 - Ho preaderito nel portale, appartengo alla Categoria B ed ho avuto ICTUS emorragico con esito. Riceverai un SMS con il codice di prenotazione con cui potrai prenotarti sul portale www.prenotavaccino.sanita.toscana.it ma dovrai, per essere vaccinato, portare al momento della vaccinazione la documentazione clinica che attesti la patologia. Condizione: CATEGORIA B - ICTUS 36 - Ho preaderito sul portale, appartengo alla Categoria B ed ho un codice esenzione 049 Pluripatologie. Riceverai un SMS con il codice di prenotazione con cui potrai prenotarti sul portale www.prenotavaccino.sanita.toscana.it ma dovrai, per essere vaccinato, portare al momento della vaccinazione la documentazione clinica che attesti la tua patologia. Condizione: CATEGORIA B - PLURIPATOLOGIA 37 - Sono un Caregiver, posso vaccinarmi? In questo momento in Regione Toscana stiamo vaccinando con priorità i caregiver e i conviventi di soggetti vulnerabili con età <16 anni. Condizione: CAREGIVER Amministrazione trasparenteAlbo pretorioBandi e AvvisiTempi di attesa Note legaliElenco siti tematiciPrivacyCreditsAccessibilitàMappa del sitoAree riservate Azienda Usl Toscana sud est - Sede Legale via Curtatone 54, 52100 Arezzo - P.I. e C.F. 02236310518 - pec: ausltoscanasudest@postacert.toscana.itTorna su

C'è anche il Debito pubblico "buono"

Caregivers. Un esercito invisibile.

Finanziamenti da Legge sul Dopo di Noi. Come ottenerli

Disegno di Legge sul Budget di Salute.

Lucca. Dopo di Noi dalle Barbantine.

lunedì 19 aprile 2021

Durante e dopo di noi

In Italia si stima che il 9,6% delle persone con disabilità grave tra i 18 e i 64 anni viva da solo, il 10,6% con il proprio partner, il 20,3% con il partner e i figli e circa il 50% con uno o entrambi i genitori. Fra questi ultimi risulta particolarmente critica la situazione di coloro che vivono con genitori anziani (circa un terzo). Inoltre il 54% circa dei disabili gravi può contare solo sull’aiuto dei genitori per le attività di cura che non costituiscono assistenza sanitaria, mentre solo il 17,6% usufruisce di assistenza domiciliare sanitaria o non sanitaria pubblica (Fonte: Istat).

 

Questi pochi dati spiegano chiaramente perché il tema del Dopo di noi assume grande rilievo non solo a livello delle singole famiglie, ma a livello di comunità e di enti pubblici preposti a garantire non solo i Livelli Essenziali di Assistenza, ma anche e soprattutto “il diritto a vivere nella società con la stessa libertà di scelta delle altre persone”, come l’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità prescrive.

Atrofia muscolare spinale. Rimuovere vincoli a prescrizione del farmaco Zolgensma

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domenica 18 aprile 2021

Sergio, separato dalla madre dai nazisti


SERGIO DE SIMONE

Public Domain

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 04/05/18

L’inganno

Mengele, entrando nella baracca dove erano stati riuniti i bambini, per selezionarli disse: «Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti».  Sergio subito si fece avanti insieme ad altri bimbi. Una volta selezionati, furono successivamente trasferiti nel campo di concentramento di Neuengamme, presso Amburgo, dove sarebbero stati usati come cavie.

https://youtu.be/h0ZJzSu24d4

sabato 17 aprile 2021

 Come trovare il difensore civico?            Forse può aiutarvi

http://www.difensorecivicotoscana.it/default?nome=difensore-contatti-ufficio&idc=67

giovedì 15 aprile 2021

Chi dà il consenso informato nel caso di Pazienti affetti da Alzheimer per la vaccinazione anti-Covid? I Medici possono rifiutarsi di vaccinare?

Vaccino

La SINdem, la SIMG e la SIN affermano la necessità di espressione del consenso da parte dei pazienti stessi

In un momento in cui l’iter da seguire per la vaccinazione contro il COVID-19 delle persone affette da demenza non riguarderà solo i pazienti ospiti delle RSA ma anche coloro che vivono a domicilio, la SINdem (Associazione autonoma aderente alla Società Italiana di Neurologia per le demenze), la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie) e la SIN (Società Italiana di Neurologia) intendono affermare la necessità di espressione del consenso da parte dei pazienti stessi e ribadire il ruolo del medico che ha in carico la persona con demenza e dei suoi familiari.

A seguito dell’emanazione del Decreto Legge del 5 gennaio 2021 “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, che contiene, all’art. 5, “Manifestazione del consenso al trattamento sanitario del vaccino anti Covid-19 per i soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistite”, la SINdem e la SIMG, entrambe componenti del Tavolo Nazionale per il monitoraggio ed implementazione del Piano Nazionale delle Demenze istituito dal Ministero della Salute in seguito all’emanazione del Piano Nazionale Demenze (G.U.n.9 del 13 gennaio 2015), al fianco della SIN, ribadiscono importanti indicazioni (statement) sul tema del consenso informato per la vaccinazione anti-COVID 19 delle persone con demenza.

PRIMO STATEMENT - Firma della persona con demenza ritenuta in grado di poter esprimere un consenso secondo le procedure riportate nel Documento del Tavolo Nazionale per il monitoraggio ed implementazione del Piano Nazionale delle Demenze denominato “Raccomandazioni per la governance e la clinica nel settore delle demenze. Riflessioni su alcune implicazioni etiche”.

SECONDO STATEMENT - Firma del rappresentante legale di una persona con demenza, qualora formalmente nominato sulle questioni sanitarie.

TERZO STATEMENT - Per una persona con demenza incapace di poter esprimere il consenso, il medico che ritiene vi sia una situazione di urgenza indifferibile può procedere in base all'art. 1 comma 7 della l. 219/2017. Il modulo di consenso verrà firmato, laddove possibile per presa visione, anche dal familiare della persona con demenza o dall’Amministratore di Sostegno (AdS) senza poteri in merito ad attività sanitarie o assistenza necessaria. Il familiare verrà scelto secondo l’ordine preferenziale previsto dalla Legge 6 del 2004 sull’amministrazione di sostegno.

QUARTO STATEMENT - In caso di persone con demenza che non hanno un familiare vivente o rintracciabile il medico agisce in base all'art. 1 comma 7 della Legge. 219/2017.

QUINTO STATEMENT - In caso di contenzioso tra i familiari, tra i familiari e i medici, tra i familiari e AdS e tra i medici e AdS, si farà ricorso con una procedura d’urgenza all’intervento di un Giudice Tutelare.

SESTO STATEMENT - I Professionisti sanitari che effettueranno la vaccinazione in collaborazione con il medico che ha in carico la persona con demenza valuteranno secondo le indicazioni incluse nella circolare del Ministero della Salute del 24.12.2020 la specificità del singolo paziente nel proporre la vaccinazione anti-COVID-19.

Le suddette indicazioni riguardano sia persone con demenza che si trovano nelle RSA sia quelle che risiedono a domicilio.


https://www.osservatoriomalattierare.it/alzheimer/16986-demenza-i-medici-fanno-chiarezza-sul-consenso-informato-per-la-vaccinazione-anti-covid

Costretta ad abortire perché schizofrenica

https://www.iene.mediaset.it/video/yaska-costretta-all-aborto-perche-schizofrenica_1031173.shtml

lunedì 12 aprile 2021

Siamo tutti potenziali "caregivers”, ma anche potenziali "disabili"

 


II Edizione - a.a. 2020-2021





Lavoro di Gruppo 

“CURA & DISABILITA’”










Ciancimino Rino

Debbi Noemi

Ginocchi Andrea

Luschi Silvia

Nastasi Elena

Sbragia Mariagrazia

Filosofia del “prendersi cura”: vulnerabilità, riparazione ed etica

a cura di Mariagrazia Sbragia.

La possibilità di essere tutti potenziali “disabili” ed anche “potenziali caregivers” non tocca minimamente la nostra società contemporanea progredita e tecnologicamente avanzata. La stessa parola “dis-abilità”, con desinenza minorativa, rimanda, nel nostro immaginario culturale ristretto, all'idea stereotipata della perdita di una o più capacità apprese o ad un qualche evento talmente negativo da scongiurare, senza accorgersi che questa condizione difettuale ci appartiene in realtà fin dalla nascita in qualità di neonati e che ha motivato in modo decisivo la nostra volontà di crescere e di progredire. La neonatalità, infatti, si configura come condizione di “dis-abilità” per eccellenza, essendo l'organismo appena nato incapace di tutte quelle facoltà, normalmente attive negli adulti intorno a lui, appena accennate nel suo repertorio genetico, che si andranno a sviluppare sempre di più se sollecitate adeguatamente dalle persone che lo circondano e, più in generale, dall’ambiente. Questa condizione di “disabilità naturale” ritornerà poi con modalità diverse attraverso la vecchiaia, e quelle abilità apprese con così tanta passione e dedizione si sgretoleranno pian piano sotto la spinta del depauperamento naturale del nostro organismo.

Stupisce che tutti questi passaggi esistenziali inevitabili e irrimediabilmente evidenti che caratterizzano non solo la nostra esistenza ma quella di tutti gli esseri viventi su questa Terra, sembrano svanire nel nostro humus culturale occidentale, in uno strano processo di oblio: sebbene tecnologicamente avanzata, la nostra società risulta paradossalmente lenta ed arretrata nella “riparazione” di ciò che non va subito a buon fine e che non riguarda uno schermo ma una vita reale come può essere quella di una Persona, di un animale o, per estensione, perfino dell'Ambiente in cui viviamo. Siamo nel 2021 ed ancora questa possibilità di incontrare un imprevisto sulla nostra strada, che non implica necessariamente il non raggiungimento dell'obiettivo desiderato, non venga compresa nella nostra società in cui tutto è pensato per avere un percorso “liscio” e “lineare”. Al contrario, nel contesto libero da strutture organizzate che noi definiamo lontanamente “Natura”, possiamo constatare come la probabilità dell'intervenienza del “non-previsto”, sia puramente “normale” e che giochi addirittura un ruolo chiave nell'evoluzione delle specie e della vita.

La rimozione che andiamo operando ad ogni livello sociale ed in ogni contesto della nostra “Natura” umana, si manifesta nella mancanza dei servizi, delle attività e delle attenzioni che dovremmo rivolgere a chi “non fila liscio”, a chi si ferma, a chi ristagna senza aver possibilità di procedere oltre a causa di un'impossibilità avvenuta “per caso” e non di certo voluta o desiderata. Le difficoltà economiche, le difficoltà psicologiche e sociali, le difficoltà di integrazione culturale, le malattie, sono spesso motivi frequenti dei blocchi che caratterizzano a livelli diversi ed in momenti diversi, le nostre esistenze come Persone; ma in generale ciò che caratterizza questa società è la dimenticanza della probabilità dell'esistenza delle difficoltà, e la rimozione del concetto secondo cui non sia tutto così “facile” ed immediato come ce lo immaginiamo. Il problema che sorge, infatti, in questo evitamento delle difficoltà è la scarsa capacità di problem-solving, una mancanza di studio su questa condizione “normale” della nostra vita, ed anche la mancanza di consapevolezza della nostra estrema debolezza sociale, incapace di “auto-rigenerazione” nelle difficoltà, e di “mantenimento vitale” attraverso l'utilizzo di tutti gli strumenti a nostra disposizione (che sono moltissimi). La posta in gioco è molto alta e riguarda che cosa vogliamo fare della nostra Salute, non quella idealizzata come falso sé attraverso l'adesione di comportamenti esterni ai nostri reali e sentiti bisogni.

Nella storia del pensiero occidentale, il concetto di Cura rimane tacito o scarsamente valorizzato sullo sfondo del dibattito generale. Se oggi abbiamo la capacità invece di discuterne e di riconoscerne l'importanza, è principalmente grazie al pensiero di genere che, attribuendo alla “Cura” un ruolo fondamentale per l'evoluzione della vita, riporta il tema al centro della discussione a partire dagli anni '80 del XX secolo fino ad oggi, tracciando un filone di studi e ricerche che delineano una vera e propria “Teoria della Cura” in senso profondamente etico. In questi ultimi decenni abbiamo registrato un boom di ricerche in campi disciplinari diversi dalla filosofia morale alla pedagogia, dalla psicologia, alle scienze politiche, dalla sociologia alle scienze infermieristiche, alla scuola...che hanno declinato il concetto di Cura in ambiti concettuali diversi, aumentando così la portata della sua definizione complessa. Questa complessità ha contribuito all'emergere di una chiarezza sul concetto di “Care” che ci aiuta oggi nello sviluppare una sua maggiore consapevolezza, ovvero ad operare nei vari campi con più precisione ed efficacia.

In origine, la riflessione del pensiero femminile sulla Care parte dall'osservazione della relazione di vulnerabilità madre-bambino, quello spazio intimo e privato che tutti abbiamo conosciuto come destinatari della Cura nell'Infanzia da parte di un adulto, e che solo il pensiero femminile ha riportato al centro della discussione come tema degno di essere analizzato e studiato in modo primario. La “vulnerabilità” è stata vista inizialmente in quella normale condizione esistenziale di “figliolanza” che tutti abbiamo provato da bambini e di cui poco abbiamo ricordo, quando siamo venuti al mondo non per una nostra volontà, e in cui le “sorti” della nostra infanzia sono state stabilite dall'operare degli adulti da cui dipendevano. La dimenticanza di questa condizione di vulnerabilità e dipendenza passiva ha contribuito, per le teoriche storiche della Cura, all'emergere dell’ideale falso di umano sovrano, autonomo, autosufficiente, vincente; inoltre, con lo sviluppo dell'industrializzazione e della tecnologia, le due parole hanno assunto significati sempre più negativi di perdita e mancanza, fino all'identificazione di esse con specifiche categorie sociali come anziani fragili, bambini e disabili (Casalini, 2015). La consapevolezza della vulnerabilità e dipendenza sane, incarnate e positive, è stata riportata in luce dal pensiero femminile, ed oggi queste teorie femminili hanno guidato nel ripensare ad un concetto di autonomia  sano, spogliato da ogni ideale (falso) di assolutezza e di inconsistenza.

La Cura non è solo assistere una persona particolarmente “vulnerabile” come un bambino o un anziano o un disabile, ma è assistere un qualsiasi “altro” che si trovi nella condizione di bisogno-altro-da sé, ovvero una condizione in cui l'aiuto dell'altro si rende necessario in quel preciso momento: la Cura inizia da questo avvicinamento perché basato su un profondo concetto di “riparazione”. Come affermano autrici femminili più moderne, la Cura fa parte primariamente della nostra specie in quanto “umana” ma è diffusa in tutte le altre forme di vita essendo “una specie di attività che include tutto ciò che facciamo per mantenere, continuare e riparare il nostro 'mondo' in modo da poterci vivere nel modo migliore possibile. Quel modo include i nostri corpi, noi stessi, il nostro ambiente, tutto ciò che cerchiamo di intrecciare in una rete complessa a sostegno della cura” (Brotto, 2013). L'esigenza di Cura di questa visione comporta un'assunzione di responsabilità civica rivolto a tutto ciò che l'incuria umana distrugge, anche l'Ambiente, facendosi portatrice di un impegno etico nei confronti delle generazioni future. Heidegger diceva che “ognuno e’ quello che fa e di cui si cura”, perciò ne consegue che il nostro essere è concretamente il risultato di ciò che costruiamo con quelle cose che riusciamo a cogliere nella relazione attivata nel nostro agire quotidiano, e che si riassume in ciò che fa bene (che cerchiamo sempre di perseguire), e ciò che riconosciamo come nocivo (e nel quale ci imbattiamo sempre). “Se abbiamo cura di certe idee, la nostra struttura di pensiero sarà’ modellata da questo lavoro, nel senso che la nostra esperienza mentale poggerà su quelle che abbiamo coltivato e risentirà della mancanza di quelle che abbiamo trascurato; se ci prendiamo cura di certe cose, sarà l’esperienza di quelle cose e del modo di stare in relazione a esse a strutturare la nostra esistenza. Se ci prendiamo cura di certe persone quello che accade nello scambio relazionale con l’altro diverrà parte di noi. Della cura si può pertanto parlare nei termini di una fabbrica dell’essere”. (Mortari, 2017). 

Queste parole esplicano ancora di più’ il concetto di vulnerabilità’ nella nostra condizione primaria di esseri viventi nati non-formati, “mancanti” in partenza, in cui la relazione di dipendenza e cura diventa ontologicamente necessaria alla formazione ed allo sviluppo di quella determinata “forma” che e’ la vita. La Cura è necessaria per vivere perchè non è un soddisfare incondizionatamente le richieste dell’altro, quanto un soddisfare i bisogni dell’altro seguendo una direzione buona per il suo sviluppo. Detto in altri termini la “madre buona” non è colei che eroga incondizionatamente tutto ciò che il bambino richiede, ma è quella che offre esperienze nuove al bambino in modo che lui stesso sia sempre più capace di soddisfare i suoi bisogni di domani. La Cura non è erogazione di sostanza quantitativamente intesa, quanto un insieme di attività concertate volte a comprendere i bisogni della persona e ad orientare gli intenti verso la direzione giusta, affinché il suo percorso non prenda una forma “a caso” ma la sua. 

E’ per questo motivo che la riflessione sulla Cura è necessaria, perché l’agire operativo della Cura non è un lavoro “casuale” ma segue necessariamente una precisa logica del “far bene” alla vita, “far bene” che l’uomo ricerca e tenta di chiarire attraverso analisi scientifiche e studi. La Cura, in altri termine, è necessariamente etica perché rivolta a dare una “buona” forma alla vita secondo canoni scientifici di ricerca: chi la pratica, quindi, è formato (o dovrebbe esserlo) sul ruolo di responsabilità che riveste nel prestare cura all’altro, una responsabilità che è civile nella misura in cui la persona che presta aiuto è consapevole delle sue capacità come dei propri limiti, e dichiara la sua disponibilità disinteressata in modo che l’altro bisognoso possa contare su di lui. L’Etica nella Cura si realizza quando questo “dare” è privo dell’attesa di un ritorno: la Cura per “essere buona” non deve implicare la possibilità di un danno alla persona, ma l’operato deve seguire una precisa teoria basata sulla necessità e sul sapere, un sapere particolare che rivoluziona completamente il modo ordinario di pensare e vivere oggi. 

Nei prossimi articoli vedremo come la lente di ingrandimento “antropologica” analizzi il fenomeno della diversità da cui il tema della Cura si origina inevitabilmente, e come la “teoria della Cura” potrebbe avere una realizzazione concreta in ambito museale, educativo e nelle reti dei servizi sociali. Infine, il capitolo si conclude con un accenno allo stato attuale del Diritto alla Cura così come è avanzato dal Disegno di Legge del Caregiver in Italia. 

Antropologia della “Care”: disabilità, anomalia, avversione e stigma

a cura di Elena Nastasi.


L'antropologia è la disciplina che si occupa di studiare l'umanità e il modo in cui le comunità si organizzano in tutti gli aspetti della vita. Il focus perciò è concentrato su tutto ciò che è manifestazione dell'azione umana, sia essa consapevole o inconsapevole e di conseguenza indaga le ragioni per le quali un gruppo sociale decide di agire e di organizzarsi in una certa maniera e non in un'altra. La cultura, quindi, intesa come l'insieme degli aspetti dell'esperienza umana che includono status, religione, legge, stigma e devianza (solo per dirne alcuni), rappresenta il terreno d'interesse principale di tale disciplina. 

  L'antropologia si è interessata alla disabilità relativamente di recente e uno dei primi studi è da ricondurre a Ruth Benedict nel 1934, la quale pubblicò un'opera in cui vengono messe a confronto le diverse concezioni dell'epilessia. Negli anni Quaranta l'interesse rimase ancora scarso e concentrato perlopiù sulle altre culture come dimostrano i lavori di Jane e Lucien Hanks del 1948, in cui si analizzano i fattori sociali che influenzano lo status delle persone con disabilità nella cultura asiatica, pacifica, in alcuni popoli africani e in quella dei nativi americani.

  Negli anni Cinquanta invece Margareth Mead, allieva di Ruth Benedict, sosteneva che lo studio di carattere nazionale americano doveva includere tutti gli americani, compresi quelli con disabilità. Questa prospettiva permise di includere le persone con disabilità all'interno dell'indagine antropologica per comprendere appieno la natura umana. 

 Il passo successivo avvenne durante gli anni Sessanta e Settanta, quando i movimenti per i diritti dei disabili cominciarono ad avere una visibilità maggiore e per tal motivo si diffuse un più ampio interesse verso l’antropologia medica e quella culturale. Sono anni di esplorazione in cui la disabilità cominciò ad essere scandagliata sotto una prospettiva che utilizzava descrizioni neutrali, che potessero essere applicate in modo generale a tutte le culture o a tutti gli ambienti sociali. In breve, il tema della disabilità venne trattato secondo un approccio esterno che dagli antropologi è definito etico.  

  Al contrario alcuni antropologi, come Frank in Venus of Wheels, ad esempio, predilissero un approccio più interno, che tenesse conto sia della personale percezione della disabilità da parte del soggetto sia dei diversi fattori esterni che concorrono alla comprensione e alla concezione della disabilità. Si indagava, perciò, la disabilità attraverso l'approccio detto emico.  Negli anni Novanta l'interesse per la disabilità presso gli studiosi di antropologia continuò crescere anche grazie al successo del film "Elephant Man" e al lavoro pubblicato nel 1990 dell'antropologo Murphy, The Body Silent, destinato a divenire un classico dei Disability studies. Murphy, direttore del dipartimento di Antropologia alla Columbia University, era al culmine di una brillante carriera da antropologo culturale quando, a causa di un tumore spinale con lentissima progressione, non divenne prima claudicante, poi paraplegico e infine tetraplegico. Fu allora che studiò e descrisse la sua malattia e la sua condizione. 

  Un altro importante lavoro, scritto da Ingstad & White dal titolo Disability and Culture, vede la luce nel 1995. In questo testo gli autori chiedono all'antropologia di ampliare lo studio della disabilità per dare maggiore enfasi all'individualità e agli approcci fenomenologici piuttosto che sulle tradizionali tecniche di antropologia medica. Questo importante volume viene citato in ogni articolo e libro che tratta di disabilità dal 1995.

  Nonostante vi sia una forte critica verso l’approccio medico alla disabilità, l'antropologia culturale e i disability studies devono molto all'antropologia medica, quest'ultima infatti rappresentò un effettivo primo contatto e contribuì soprattutto dando una prima definizione dei termini. I primi studi perciò avevano una prospettiva di tipo biomedico e intendevano la disabilità come qualcosa da "curare", ciò, come pare chiaro, ha per diverso tempo limitato la prospettiva sulla disabilità, vista più che altro come deficit di qualcosa, una "abilità mancante" senza considerare l'ambiente circostante e la società all'interno della quale il soggetto si muove. In breve, l’antropologia culturale intende trattare e spiegare la disabilità scostandosi dall’approccio medico e avvicinandosi il più possibile a quello sociale e ambientale dell’individuo.  

Per far ciò bisogna partire dalla constatazione che delle differenze fisiche o comportamentali sono riconosciute in tutte le comunità e tale riconoscimento comporta delle conseguenze sociali. E' di fondamentale importanza chiarire i contesti, le conoscenze e le risposte nello studio di queste differenze. 

 Per lo studio comparativo e interculturale della disabilità gli studiosi hanno spesso fatto affidamento sul concetto di anomalia elaborato da Mary Douglas, la quale intende l'anomalia come qualcosa "fuori posto", come ogni manifestazione fisica o comportamentale che si colloca al di fuori dell'ordinario. Ciò non significa necessariamente che le persone che manifestano certe differenze riconosciute verranno necessariamente stigmatizzate o viceversa considerate sacre. Ingstad (1995) osserva che la disabilità fisica o mentale non determina necessariamente lo status di una persona, spesso infatti sono i legami familiari e di parentela e la competenza nello svolgere autonomamente alcuni compiti a farlo. Nelle isole Caroline in Micronesia ad esempio, Marshall (1996) evidenzia che persone con compromissioni fisiche, siano esse acquisite o presenti dalla nascita, non vengono considerate disabili a meno che non vi sia l'incapacità di sentire o parlare, cioè l'incapacità di manipolare la cultura e di partecipare alla vita sociale della comunità. In Cina, invece la capacità di essere di essere attivi e autosufficienti nella vita pubblica è molto apprezzata. L'enfasi confuciana combinata alle idee di sviluppo nazionale trasmutano l'imperfezione corporea in significato sociale e uomini e donne con difficoltà a deambulare fanno esperienza di discriminazione. In questo caso, credenze culturali, aspettative sociali e di genere e persino l'economia concorrono e contribuiscono alla creazione di un'identità basata su una differenza corporea percepita negativamente (Shuttleworth, 2004).

   Diversa è la situazione in contesti meno industrializzati, in cui lo stigma viene applicato per altri parametri rispetto a quelli prima evidenziati: presso gli Shona dello Zimbawe ad esempio, come riferisce Burk, i bambini a cui spuntano prima i denti nell'arcata superiore sono considerati gravemente disabili e questo ha conseguenze per tutta la vita. Talle (1995) invece sottolinea che non sempre l'integrazione è la risposta. Tra i Masai infatti i bambini con disabilità vengono trattati esattamente come gli altri, dato lo stesso cibo e benedizioni rituali. Tuttavia, la mancanza di un trattamento maggiormente attento verso il soggetto con disabilità spesso ne provoca la morte. In altri casi, come presso i Quechua delle Ande boliviane i ciechi vengono considerati in grado di vedere l'invisibile e quindi vengono loro attribuiti dei poteri (Rosing 1999). Molte differenze corporee e comportamentali riconosciute come anomale in alcune società non rivestono alcun ruolo per quella europea, quindi il valutare una determinata caratteristica fisica o comportamentale come anomalia dipende da parametri, concetti e indici etnofisiologici ed etnopsicologici. Il modo in cui una società vede l'integrità biologica e fisica contribuisce all'integrazione o all'esclusione di un soggetto. Vi sono perciò tre possibili risposte all'anomalia: la prima, è che gli individui vengano integrati all'interno della comunità in virtù della cosmologia o per altri valori che si concentrano sulla coesione del gruppo; la seconda risposta può vedere una comunità operare un esclusione o emarginazione di vario ordine e grado o infine può essere riservato a questi individui un ruolo sacro. Tale schema è ovviamente un'esemplificazione e ha come obiettivo quello di spiegare la disabilità allontanandola dal suo originario significato biomedico e di avvicinarla ad una prospettiva di tipo socioculturale.

   Un altro approccio tentato per lo studio della disabilità si rifà a tre concetti cardine per l’antropologia: devianza, liminalità e stigma. Il primo termine, che in questo caso verrà usato col significato di tutto "ciò che si trova fuori dalla norma", sottolinea già la sua intrinseca relatività e interattività . Bisogna, infatti,  stabilire cosa è la norma, chi è che la stabilisce e in base a cosa ci si trova nella norma o al di fuori di essa. I corpi dei disabili sono stati tradizionalmente considerati devianti poiché si allontanano dalla norma e richiamano lo stigma attraverso tale devianza (Stiker, 1999) 

 L'antropologo disabile Murphy ad esempio descriveva le persone disabili come sovvertitori “dell'ideale americano" poiché le restrizioni dei loro corpi, delle loro circostanze o delle loro abilità minavano l'indipendenza, l'autorealizzazione e l'autonomia personale, considerati concetti cardine dell'essere americano (Murphy, 1990). Con la nozione di liminalità, in antropologia ci si riferisce al momento di transizione, caratterizzato da ambiguità, fra un ruolo o uno status sociale e un altro tipico dei riti di passaggio. L’antropologo Murphy ha preso in prestito il concetto di liminalità dallo studio dei riti di passaggio per spiegare la disabilità acquisita, infatti egli spiega il suo processo verso la disabilità come l'attraversamento di una serie di riti di passaggio che lo spogliano del suo status sociale originario e lo costringono ad uno nuovo. Le persone con disabilità possono sperimentare uno stato di liminalità esteso o addirittura perpetuo a causa della confusione dei ruoli e della mancanza di accettazione da parte degli altri. Alcuni non accettano l'identità liminale che viene loro assegnata dalla società e potrebbero creare la propria cultura della disabilità per supportare e informare altri sulla loro esperienza (Murphy, 1990). Lo stigma, infine, è un’avversione verso una caratteristica fisica o comportamentale considerata dalla comunità fuori dalla norma, perciò deviata. 

  In definitiva il campo dell'antropologia ha dato significativi contributi alla comprensione della disabilità. Le teorie dell'antropologia medica, sociale e culturale hanno ampliato il discorso pubblico e accademico sulla disabilità, hanno fornito un apparato teorico ed empirico affermando che la disabilità può essere considerata un marcatore culturale e che le persone con disabilità possono considerarsi come un gruppo con una differente cultura rispetto al resto della società. Gli antropologi, inoltre, hanno rimarcato come la disabilità sia un costrutto sociale: essa infatti non dipende tanto dal grado di funzionalità persa, piuttosto è definita dagli standard etnobiologici ed etnopsicologici della società in cui si vive(Inghstad & White, 1995). 

Come risultato la disabilità è vista meno come una limitazione di qualcosa e più come la percezione di pregiudizi derivanti dal resto degli individui "normodotati". Essa è una categoria profondamente relazionale, plasmata da condizioni sociali che escludono la piena partecipazione nella società. E' quindi il risultato di una cattiva interazione fra una persona con una funzionalità compromessa e il suo ambiente sociale o fisico. Ad esempio, la presenza o l'assenza di rampe cambia profondamente l'inclusione di persone che utilizzano la sedia a rotelle nella vita pubblica. Il modello sociale implica una critica fondamentale della medicalizzazione nel definire e categorizzare soggetti "non normali".

La “Care” nel museo: barriere, accesso e mediazione

a cura di Andrea Ginocchi.

La care (cioè la cura) nei confronti delle persone con disabilità e di coloro che se ne occupano è un tema che trova spazio, sotto forma di accessibilità e servizi, anche nei musei e nei luoghi della cultura in generale. L’accesso al patrimonio culturale è un diritto umano fondamentale, come ci ricorda fin dal 1948 la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo (art. 27) e negli ultimi cinquant’anni il tema si è fatto strada nella società in maniera sempre più incisiva, riguardando discipline e ambiti molto diversi fra loro (architettura, psicologia, filosofia, museologia, tecnologie dell’informazione e comunicazione, etc.): anche i luoghi della cultura sono parte integrante di questa “rivoluzione” sociale, infatti si sta delineando, sia da parte delle istituzioni che degli operatori del settore, una presa di coscienza sempre maggiore riguardo a questo tema. 

Il diritto a un godimento universale del patrimonio culturale, di cui si riconosce la grande valenza identitaria e di coesione sociale per l’Europa, è un tema che è stato trattato anche dal Congresso svoltosi a Faro (Portogallo) dal Consiglio d’Europa il 27 ottobre 2005. All’art. 12, Accesso all’eredità culturale e partecipazione democratica, si evidenzia la necessità di «promuovere azioni per migliorare l’accesso all’eredità culturale, in particolare per i giovani e le persone svantaggiate, al fine di aumentare la consapevolezza sul suo valore, sulla necessità di conservarlo e preservarlo e sui benefici che ne possono derivare».

L’anno seguente, nel 2006, la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ha ribadito il ruolo chiave dell’accessibilità e ciò ha rinvigorito l’attenzione internazionale sul tema. 

La care emerge di riflesso anche all’interno della più recente definizione di Museo, coniata dall’International Council of Museums (ICOM) il 24 agosto 2007, definizione a cui oggi si fa riferimento e che individua gli scopi più ampi ed etici dell’istituzione: «Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto». La definizione di ICOM è stata poi acquisita in toto dalla normativa italiana con Decreto ministeriale MIBACT 23 dicembre 2014 che ha aggiunto un’importante integrazione finale: «promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica», in un’ottica di sempre maggior dialogo e condivisione dei saperi con tutta la comunità.

Negli ultimi anni si sono venute a creare due posizioni riguardo all’accessibilità: quella di coloro che ritengono che l’accessibilità sia un diritto specifico delle persone con disabilità e quella, invece, di chi intende l’accessibilità come strumento per i diritti umani di tutti. Da ultimo, comunque, ha preso sempre più campo la convinzione che l’accessibilità non sia un diritto specifico delle persone con disabilità, ma uno strumento per l’attuazione e l’osservanza dei diritti umani di tutti, specialmente delle persone a rischio di emarginazione sociale, come disabili, anziani, migranti e minoranze linguistiche. Inoltre, si è passati sempre più a inquadrare il tema dell’accessibilità non più solo secondo il modello medico (che considera la disabilità come una condizione vissuta dal singolo), ma secondo il modello sociale (in cui lo stato di disabilità viene considerato come il risultato che nasce dall’interazione fra la condizione del singolo e le risposte attuate dalla società al suo stato di disabilità). Bisogna sottolineare poi, che gli strumenti normativi per molto tempo hanno affrontato il tema dell’accessibilità semplicemente come sinonimo di abbattimento o eliminazione delle barriere architettoniche: si veda, ad esempio, il D.M. 236/89, che equipara l’accessibilità alla sola possibilità di raggiungere e godere degli spazi. Mentre dal 2008, con le Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale (D.M. del 28 marzo 2008) si è iniziata a far strada, seppur ancora di riflesso, l’idea che l’accessibilità abbia un ruolo importante nella qualità della vita di tutti. Tale cambiamento è improntato alla filosofia del Design for All, secondo cui nella progettazione bisogna tenere presente le necessità di tutto il pubblico, nelle sue varie declinazioni: dunque una progettazione di soluzioni rivolte non solo alle persone con disabilità, ma anche al maggior numero di persone possibile. 

L’analisi svolta recentemente riguardo a quelle che possono essere considerate barriere all’accessibilità, ha prodotto una varietà di risposte che ha integrato il concetto di barriera architettonica. Sono stati individuati come elementi di ostacolo anche le barriere economiche, cioè il costo del biglietto di ingresso, per quanto riguarda le famiglie e gli anziani.

Le barriere sensoriali riguardano soprattutto le persone ipovedenti o cieche e quelle sorde. Per quanto riguarda gli ipovedenti, naturalmente possono essere di ostacolo gli strumenti didascalici dei musei scritti con caratteri troppo piccoli o poco contrastati e la scarsa illuminazione delle sale. Per i ciechi sono necessari invece degli strumenti più specifici come gli apparati didascalici in braille, mappature del museo in rilievo e, dove possibile, riproduzioni delle opere da poter toccare. La disabilità uditiva gode di minor attenzione, per quanto, invece, anche le persone sorde incorrano in alcune difficoltà durante la visita ad un luogo culturale: ad esempio, non possono usufruire delle audioguide, delle visite guidate canoniche, di dispositivi multimediali privi di sottotitoli, inoltre sia i sordi segnanti, che gli oralisti hanno bisogno di maggior tempo per compiere una visita guidata, in quanto devono prestare attenzione alla guida e allo stesso tempo ammirare le opere esposte. 

Un particolare tipo di ostacolo, di recente insorgenza, è quello delle barriere tecnologiche: i nuovi allestimenti museali, infatti, si avvalgono, dove possibile, di dispositivi didascalici tecnologici i quali, seppur molto apprezzati dai giovani, possono essere scoraggianti per il pubblico più anziano e poco abituato all’uso di touch screen, tablet, smartphone, QR code, etc.

Fra le barriere più difficili da identificare e demolire, si evidenziano le barriere culturali: molte fasce della popolazione ritengono infatti il museo un luogo distante dalla propria realtà culturale e in un certo senso respingente. Vi sono persone che non visitano i musei perché li ritengono a priori dei luoghi al di sopra delle loro capacità di comprensione; mentre altre, pur avendone fatta esperienza, sono rimaste frustrate dall’uso di un linguaggio troppo specialistico e quindi autoreferenziale. Per venire incontro a un maggior numero di persone possibili è necessario, quindi, che i musei adottino, se possibile, un linguaggio semplice. 

Vi sono infine le barriere cognitive che sono anch’esse molto difficili da affrontare, anche perché le disabilità cognitive si presentano sotto varie tipologie. Quindi, la sfida che si pone al museo e ai mediatori culturali è quella di creare un’offerta ogni volta diversa e di dover rileggere e presentare le collezioni secondo criteri che esulano da quelli tradizionali (informativi o cognitivi), per focalizzarsi sulla realizzazione di esperienze culturali che abbiano come scopo la gratificazione, la serenità, lo stimolo alla curiosità e al coinvolgimento dei visitatori con disabilità cognitiva. Si deve ricordare, poi, un tipo di pubblico particolare, costituito dai bambini e dagli anziani: per entrambi, in modi diversi, spesso i luoghi della cultura non offrono adeguati servizi di accoglienza (si pensi ad esempio a spazi appositi per i più piccoli o strumenti informativi ad hoc), né percorsi di visita adeguati (per quanto riguarda gli anziani si pensi alla presenza di scale o alla mancanza di posti a sedere).

Parallelamente agli studi di settore effettuati e coerentemente con l’ampliamento del concetto di barriera alla fruizione della cultura, la Direzione generale dei Musei, con Decreto dirigenziale del 27 giugno 2017, ha istituito un Gruppo di lavoro per stabilire le linee guida necessarie al superamento delle barriere culturali, cognitive, psicosensoriali. Sono state pubblicate, quindi, il 6 luglio 2018, le Linee guida per la redazione del Piano di eliminazione delle barriere architettoniche (P.E.B.A). Il loro scopo è quello di fornire indicazioni molto dettagliate sulla sicurezza di opere e persone, sull’accessibilità di spazi e servizi da parte di pubblici molto diversificati, sull’educazione e il diletto dell’esperienza museale, con un approccio interdisciplinare nella progettazione, realizzazione e manutenzione degli interventi. Tali interventi, secondo le Linee guida, devono essere svolti inoltre nel rispetto di un’architettura che spesso ha valore storico-artistico, tenendo presente, inoltre, che l’accessibilità non inizia e non termina all’ingresso del museo, ma coinvolge i canali di informazione digitale, le indicazioni per il raggiungimento dell’istituto culturale e poi la manutenzione e monitoraggio delle procedure sull’accessibilità intraprese. Sebbene, come abbiamo visto, il dibattito e le azioni normative si siano spostate sempre più verso un’attenzione rivolta non solo alle barriere architettoniche, ma anche alle barriere di altro genere, il lavoro da compiere è ancora lungo, come attestano i dati più recenti.

Il Rapporto Istat 2019 riporta che in Italia sono 4908 i luoghi della cultura del Paese: il 53 % di essi ha realizzato strategie per il superamento delle barriere architettoniche, mentre il dato rimane al 12 % se si considera l’accessibilità senso-percettiva, culturale e cognitiva. Per quanto la realtà dei fatti mostri una certa incompiutezza in questo campo, il museo in quanto istituzione culturale si sta aprendo sempre più alle nuove esigenze di welfare culturale, che si integra a quelli della sanità, della scuola, etc.: si sta prendendo atto sempre di più che partecipare alle attività culturali stimoli i circuiti neuronali che sostengono le funzioni cerebrali, bloccando le condizioni di stress, quindi l’esperienza artistica diventa medium di un’azione terapeutica sull’organismo umano. Una delle prospettive che negli ultimi anni ha iniziato a prendere vita è quella dell’esternalizzazione delle collezioni e delle attività museali: il museo lavora al di fuori delle proprie mura, rivolgendosi a contesti molto diversi e apparentemente distanti, quali reparti ospedalieri, carceri, residenze assistite per anziani, nell’ottica di venire incontro alla parte più fragile della società.  Questa pratica si è necessariamente intensificata negli ultimi mesi a causa dell’emergenza sanitaria da Covid 19 e della conseguente chiusura al pubblico degli istituti culturali: tale situazione ha favorito momenti di incontro online (conferenze, percorsi tematici e visite virtuali dei musei). Nell’intento di potenziare l’attenzione per l’accessibilità ai luoghi di cultura, la Circolare n.26 del 25 luglio 2018 ha introdotto la figura del Responsabile per l’accessibilità (R.A.): una figura destinata ad affiancare il direttore del museo e a interagire con diverse professionalità per redigere e attuare il Piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche, contribuendo alla progettazione e all’attuazione degli interventi svolti nell’ottica della fruizione ampliata.

Per trarre una conclusione sul tema affrontato, si può ritenere opportuno che gli istituti culturali adottino un’offerta formativa improntata su approcci differenziati, non solo cognitivi, ma anche sperimentali ed emozionali, in modo da permettere a più e diversi soggetti di beneficiarne sentendosi protagonisti, in quanto portatori della propria personale esperienza di vita. Non bisogna quindi trascurare il fatto che accessibilità significa prima di tutto buona accoglienza e la capacità di mettere a proprio agio il visitatore, con l’idea, sempre presente, che la care e le misure volte a migliorare l’accessibilità, si possano rivelare ugualmente vincenti per tutti i visitatori. In un futuro speriamo prossimo, la sfida per i luoghi della cultura sarà quella di aprirsi a una progettazione che non distingue fra pubblico di normodotati e disabili, ma che adotta dei criteri di accessibilità sempre più allargati, i cui accorgimenti (negli allestimenti, nella comunicazione, negli ambienti, nella formazione del personale e nelle attività) si rendono “invisibili”, con l’idea che “la vera accessibilità, quando c’è, non si vede”. 

La “Care” della Rete Sociale: l’importanza dei legami per il benessere dell’assistito

a cura di Silvia Luschi.

Studi recenti hanno dimostrato, e la pandemia che stiamo vivendo lo ha confermato, che una risorsa di crescente importanza è sicuramente rappresentata dalla realtà associativa, dall’appartenenza ad una rete relazionale, dagli scambi e dalle collaborazioni che ne conseguono; tutto ciò può dar vita ad esperienze significative, di valore individuale e soprattutto collettivo. La funzione del gruppo, essenziale per ogni persona, è ancora più evidente quando ciò che accomuna i suoi membri ruota attorno ad esperienze complesse e sfidanti, come nel caso della disabilità. 

Quando si affrontano temi delicati ed importanti quale quello in questione, risultano di particolare interesse le attitudini e le inclinazioni delle persone maggiormente coinvolte nella questione; ci si riferisce quindi alla figura del genitore, del parente, della famiglia in senso lato o, in certi casi, del coniuge, del caro amico o di qualsiasi altra persona che assume per scelta, e non solo, la qualifica di caregiver. Il termine “famiglia”, sociologicamente inteso, viene utilizzato per identificare tutti i membri che, indipendentemente dalle forme e dai modi, compongono il nucleo familiare entro cui ogni persona vive e cresce. E’ evidente che all’interno della famiglia, tra i suoi componenti, possono esservi diversi livelli di partecipazione, che diversamente entrano in relazione con il servizio. Da qualsiasi prospettiva si analizzino, il primo elemento che occorre considerare non può che essere rappresentato dall’attenzione costante ad un senso di rispetto verso quelle che possono essere le risposte emotive e comportamentali delle varie figure sopracitate, che meritano quindi di essere considerate nella loro veste di detentori di saperi, significati e sguardi preziosi in grado di sprigionare, se efficacemente valorizzate, risorse ed opportunità non solo per se stessi, ma anche e soprattutto per gli altri. Generalizzando, possiamo affermare che la vita di ogni persona ruota attorno tre nodi principali: la famiglia, le istituzioni, con cui a vario titolo la persona entra in contatto, e il contesto di appartenenza. La qualità delle relazioni esistenti tra questi nodi pone le premesse per la realizzazione del progetto esistenziale di ciascuno e per l’instaurarsi di un processo circolare positivo. L’obiettivo della rete sociale che ne deriva dovrebbe mirare al raggiungimento della vita indipendente di tutte le persone coinvolte, disabili e non. A questo proposito, da un approccio fondato, quasi unicamente su un intervento di tipo individualistico e unidirezionale, si è passati alla prospettiva attuale che prevede il coinvolgimento di tutte le risorse umane, organizzative e strutturali, operanti nei diversi contesti di appartenenza. 

La costruzione della qualità dei servizi socio sanitari, socio assistenziali ed educativi è un processo articolato, in continua evoluzione, che richiede l’apporto di diversi soggetti su molteplici prospettive. Il tema della partecipazione assume una rilevanza centrale, soprattutto nella misura in cui si traduce a diversi livelli organizzativo, gestionale, educativo, pedagogico e politico e in relazione ai differenti attori: gli assistiti, i loro genitori e, più in generale, le figure familiari che si occupano quotidianamente della loro cura e educazione, i numerosi professionisti coinvolti nei servizi (educatori, coordinatori pedagogici, assistenti ausiliari, pedagogisti, responsabili e funzionari…),e, infine, la comunità di cui bambini, adulti e servizi sono parte, ovvero un grande social network costituito da tutti gli attori presenti sul territorio, dalle altre tipologie di servizi, da tutto il vicinato e dall’intera comunità. E’ quindi imprescindibile la costruzione di una rete, in cui tutti gli elementi e i loro reciproci legami associativi possano rivestire un ruolo significativo e centrale, che non può essere in alcun modo disatteso; ogni nodo avrà certamente proprie responsabilità e propri compiti.

Certamente prima del “contenitore” (il servizio, la risposta, l’intervento) si deve porre al centro dell’intero processo la difesa della persona con la propria dignità e il suo diritto a rimanere nel proprio luogo e spazio di vita, ovvero nella propria comunità, a stretto contatto con le proprie reti familiari e sociali (cd. relazioni significative), per permettere all’individuo la continuità storica del se’, spesso minacciata dai rapidi cambiamenti di quelle situazioni che minano la sua comfort zone già di per sé debole. La “persona al centro” significa che non  è solo l’oggetto del sistema di prestazioni e risposte, ma è anche e soprattutto soggetto che collabora, partecipa, sceglie il processo di inclusione sociale, possibilmente anche laddove la gravità del quadro clinico o comportamentale fosse di notevole entità. Ovunque la partecipazione è un tema caldo, ampiamente citato e dibattuto, ma ciò non significa che sempre riesca a realizzarsi concretamente e a pieno; ad esempio, la partecipazione non si configura automaticamente con la presenza dei  soggetti facente parte la rete sociale, né con qualsiasi ‘dichiarazione di intenti’ collaborativi. La relazione effettiva che ne deve derivare può orientarsi e connotarsi in modi diversi, sulla base delle prospettive attraverso cui la si concepisce, osserva e analizza; delle motivazioni, delle competenze e della formazione degli attori coinvolti. La relazione tra servizi e rete sociale può fondarsi su processi diretti ad informare, ascoltare, conoscere, suggerire; deve essere vista come non partecipazione della “famiglia” ai servizi, quanto piuttosto come una partecipazione, insieme ai servizi (e altri attori del territorio), all’attività di promozione, sviluppo e integrazione della persona interessata. In tal senso, sarebbe addirittura opportuno che il destinatario della relazione assuma la posizione di co-attore attivo del proprio sviluppo.

Nella realtà attuale si sta sempre più diffondendo l’intento, anche a livello istituzionale, di promuovere la qualità dei servizi attraverso la progettazione e la realizzazione di pratiche partecipative, attività di job shadowing, ovvero di osservazione, scambio e riprogettazione di buone pratiche di partecipazione tra i diversi attori del partenariato, da un lato, e attività di studio e ricerca sulle pratiche di partecipazione e sui relativi indicatori e strumenti, dall’altro. Questa dinamica collaborativa richiede un cambiamento negli atteggiamenti culturali, gli operatori dei servizi devono essere capaci di valorizzare il sistema familiare, e della rete sociale in generale, come risorsa primaria e strategica con cui costruire una vera e propria alleanza progettuale e operativa, una partnership stabile e dinamica nel proporre e realizzare progetti e interventi a favore del disabile; la “famiglia” deve uscire dall’ottica del paradigma assistenziale, passivizzante, nei confronti del proprio membro disabile, a favore di una concezione capace di conquistare progressivamente "piccoli spazi di autonomia", in cui l’individuo possa esercitare, con tutti i dovuti limiti e distinguo, un ruolo attivo, responsabile e quindi autonomo.

Data una definizione di partecipazione, qualunque essa sia, è importante individuare in che misura e in che modo un concetto, a cui corrisponde una vasta gamma di azioni, possa trasformarsi in un valore, ossia in qualcosa di importante per i soggetti coinvolti nei servizi. Una volta che la partecipazione è stata definita ed è stata riconosciuta come un valore, si apre il problema della sua promozione: in che modo è possibile realizzare e promuovere forme di partecipazione tra servizio e famiglia? Chi si attiva? In che modo il servizio può favorire le diverse forme di partecipazione delle famiglie? Con quali obiettivi e attraverso quali ruoli e quali risorse? A quali condizioni, cioè, è possibile che realmente e concretamente servizi e famiglie possano essere co-autori? 

E’ ormai chiara l’esistenza di un fil rouge che lega le varie realtà familiari e che nasce da una rinnovata consapevolezza per la quale “la costruzione di una rete di servizi” e di un sistema “esperto” di presa in carico della persona con disabilità non può prescindere da un reale coinvolgimento della rete sociale dell’assistito, pensata non solo e non semplicemente come destinataria o fruitrice di azioni di sostegno, bensì come attiva protagonista di un processo che pone al centro il benessere e la qualità di vita della persona.

La  “Care” a Scuola: legislazione della valutazione, diagnosi e trattamento delle Diversità


a cura di Noemi Debbi.


Il concetto di cura nella sua declinazione legislativa è stato inteso in modi diversi a seconda del periodo storico di riferimento. Di fondamentale importanza è dunque passare brevemente in rassegna quali sono le parole-chiave e gli interventi previsti dalla legislazione, dalla Costituzione ad oggi. Se è vero infatti che il contesto influenza l’elaborazione e la promulgazione delle leggi, è altresì vero che esse mettono nero su bianco, istituzionalizzando, il sentire comune in un Paese. Può essere utile, a tal fine, volgere una specifica attenzione verso il concetto di cura nella sua declinazione e attuazione all’interno della scuola, se per “Scuola” si intende l’incubatrice della cittadinanza.


La Costituzione della Repubblica Italiana pone le basi per la garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo, per la dignità sociale, l’uguaglianza davanti alla legge e la rimozione degli ostacoli di ordine sociale ed economico che limitano, di fatto, l’esercizio della partecipazione alla vita pubblica e il pieno sviluppo della personalità (articoli 2 e 3). Gli articoli più rilevanti e da sottolineare riguardo l’ambito scolastico sono il 34 e il 38, che esprimono l’apertura della scuola a tutti e il diritto allo studio “degli inabili e minorati”. In generale, è importante evidenziare che il concetto di uguaglianza proposto dalla Costituzione assume valore giuridico e civile. 


Dalla Costituzione fino agli anni ‘70 tuttavia, non si trova coerente riscontro nei confronti della cura della disabilità. I primi provvedimenti legislativi per il riconoscimento delle diversità rilevanti, nascono dalla spinta della associazioni di categoria, e per questo la legislazione si presenta frammentaria, disorganica, prevalentemente di tipo assistenziale e volta al risarcimento (invalidi di guerra, legge n. 78/49; sordomuti, legge n. 698/50; ciechi civili, legge n. 66/62). In questo senso la diversità sembra essere concepita come separata dal tessuto sociale. La scuola è lo specchio di questa concezione, come possiamo intuire dall’istituzione delle classi differenziali a seguito della legge n. 1859/1962


All’inizio degli anni 70’ notiamo un cambiamento di tipo sostanziale nella legge n. 118/1971 “Disposizioni in favore dei mutilati e invalidi civili”. Anche se questa è ancora settoriale, sembra presentare un concetto diverso di cura. Al disabile vengono riconosciute una pensione e un assegno mensile (articoli 12 e 13), ma i temi principali del documento sono rivelati nell’articolo 4: riabilitazione, ricerca e prevenzione. Si prevedono dunque contributi per la costruzione, la trasformazione, l’ampliamento e il miglioramento delle attrezzature nei centri di riabilitazione, si erogano fondi per gli studi volti alla prevenzione e all’incremento dei servizi psicologici, sanitari e sociologici concernenti le principali malattie, si istituiscono scuole apposite per la formazione di personale specializzato, sia personale paramedico che educatori e assistenti sociali. Di tipo assistenziale comunque è ancor la parte dedicata alla scuola, con l’articolo 28 che prevede il trasporto gratuito, il superamento delle barriere architettoniche e l’assistenza durante gli orari scolastici dei disabili più gravi. Si dovrà aspettare la legge n. 517/77 per l’abolizione delle classi differenziali. In generale comunque possiamo affermare che il legislatore ha tentato intervenire per la tutela dei diversi ambiti della vita del disabile: dall’assistenza economica, a quella sociale, alla formazione, all’eliminazione delle barriere. Traspare un concetto di cura diverso dal periodo precedente: qui la persona non è più solamente da assistere e “tenere separata”, ma, alla pur necessaria assistenza, si aggiunge la riabilitazione e l’inserimento attivo all’interno della società. 


Negli anni 80’ non si raggiunge ancora un livello uniforme nella cura verso le persone disabili, ma data la consapevolezza della frammentarietà delle leggi presenti, si inizia a richiedere un testo più organico, che riconosca in primis il diritto di cittadinanza e integrazione sociale a tutti. La legge 104/1992 proviene da questa esigenza, e sposta l’attenzione degli interventi su questo tema. Da notare che la legge sostituisce la parola sminuente “invalido” con handicappato, descritto secondo la concezione tradizionale della medicina legale, come “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione, di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione” (art.1). L’organizzazione degli interventi è pertanto chiamata a svolgere quattro fondamentali funzioni: la prevenzione (art. 6), la riabilitazione (art. 7), l’assistenza (art. 9), l’integrazione sociale (art. 8,art. 14). L’articolo 14 si focalizza sull’integrazione scolastica, presupponendo la facoltà dell’handicappato di frequentare le classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado e prevedendo la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da pubblici e privati. Sono fornite attrezzature tecniche e i sussidi didattici, oltre che l’obbligo per le autonomie locali di fornire assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali. 


Negli anni 2000 possiamo fare riferimento a un cambiamento essenziale, che amplia lo sguardo nell’ambito europeo, con la Convention on the rights of persons with disabilities del 2007. Il documento crea una svolta nel concetto di cura intesa come universalità, interdipendenza, individualità e interrelazione di tutti i diritti umani e presuppone le libertà fondamentali per tutti. Due sono i punti di rilevanza concettuale: il primo è che la Convenzione dichiara i diritti universali di tutti, ma crea anche le condizioni affinché essi siano rispettati sul piano fattuale. Lo stato di disabilità infatti può essere riferito a chiunque si trovi in un particolare momento della sua vita, in uno stato di bisogno-altro da sé, ovvero in un periodo in cui l’aiuto dell’altro e delle istituzioni si manifesta come necessario. Il secondo aspetto rilevante è che il documento è stato formulato prendendo in considerazione attivamente le istanze delle parti interessate secondo il motto “nothing about us without us”. Il modello di riferimento è quello bio-psico-sociale dell’ICF (International Classification of Diseases, 2001). Secondo l’approccio sociale, non basta la menomazione per creare disabilità, ma questa è data dall’interazione tra la menomazione, i contesti sociali e le barriere ambientali. Tutta la società dunque è chiamata alla rimozione delle barriere, all’integrazione e all’inclusione. L’articolo 1 sottolinea infatti che lo scopo è “promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone con disabilità e favorire il rispetto della loro essenziale dignità.”

In Italia questo testo viene ratificato dalla legge n. 18/2009. L’art. 3 di quest’ultimo documento prevede l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità per l’implementazione e la messa a punto delle strategie di integrazione, in accordo con quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge 104/1992. Il concetto di cura è chiarito dall’espressione chiave di ’”accomodamento ragionevole” inteso come “le modifiche, gli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia la necessità, in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e fondamentali” (art. 2). La scuola dunque, sarà finalizzata al pieno sviluppo del potenziale umano, del senso di dignità e autostima, allo sviluppo della personalità e alla partecipazione attiva a una società libera (art. 24). Nella scuola, da questa Convenzione e seguendo l’ottica fin d’ora esposta, nascono le principali tutele per la cura degli alunni BES: la Nota prot. n. 4274 del 4 agosto 2009 “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”, la Legge n. 170/2010Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, il DM n. 5669 12 luglio 2011 “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”, la Direttiva MIUR del 27/12/2012 “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”.


In una prospettiva di costruzione storica delle condizioni di differenza, le leggi sono da intendersi come atti linguistici, che delineando visione e spazi di azione si iscrivono nei corpi. Dall’assistenza si passa progressivamente verso l’inclusione, dall’invalidità intesa come caratteristica immutabile del soggetto si passa alla disabilità come processo che emerge dall’incontro dell’individuo con il contesto sociale.

La “Care” è un Diritto: Iter della Legge Istitutiva del Caregiver


a cura di Rino Ciancimino.


La questione del caregiver familiare non è una questione risolta. La figura del caregiver familiare ha avuto un primo riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano nell’art. 1, c. 255, della Legge 205/2017 (Legge di Bilancio per il 2018), ma si tratta di un riconoscimento solo formale. Vediamo, allora, la definizione che ne dà la Legge per poi esaminarne i punti critici, le allocazioni delle risorse e, infine, le proposte delle più rappresentative Associazioni del Settore.


La stessa Legge istitutiva del Fondo Nazionale (Legge 205/2017) aveva anche fornito, nel sopracitato articolo, una definizione di caregiver, tuttora valida: si definisce caregiver familiare la persona che assiste  e  si prende cura del coniuge, dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai  sensi  della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro  il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità' o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di se', sia riconosciuto invalido in quanto  bisognoso di  assistenza  globale  e  continua di lunga durata ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18.


I presupposti che devono configurarsi, quindi, perché una persona possa definirsi “caregiver” risiedono nel rapporto che lega tale persona alla persona assistita (coniugio, unione civile, convivenza di fatto, parentela o affinità) nonché nelle condizioni di quest’ultima, che devono avere determinato il riconoscimento della “disabilità grave” ai sensi dell’art. 3, c. 3, L. 104/92 o dell’indennità di accompagnamento. 

In prima battuta, possono considerarsi caregiver coloro che sono più prossimi alla persona (il coniuge, il convivente di fatto, colui che ha un’unione civile con la persona assistita o un suo parente o affine di secondo grado)  mentre si considereranno i parenti del terzo grado, solo quando i genitori  o  il  coniuge  della  persona assistita abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure abbiano anch’essi patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. 

In Parlamento sono ancora attualmente in discussione varie proposte di legge volte anche a modificare la definizione di caregiver, ma per il momento si fa sempre riferimento al dettato normativo del 2017 sopra menzionato.  


Le risorse messe in campo sono ancora del tutto irrisorie, specie se si vuole ipotizzare, come chiesto da più parti negli ultimi mesi, di costruire dei contributi o voucher per i  singoli caregiver, visto che, a fronte per esempio dell’utilizzo di 200 euro mensili, al massimo potrebbero coprirsi, in questa tornata, in cui eccezionalmente si utilizzano in un sol colpo tre annualità, poco più di 28.000 caregiver. Del resto, è possibile ipotizzare che in una fase emergenziale le Regioni corrano il rischio di individuare interventi di immediato impatto per le singole persone, senza invece strutturare seri percorsi di presa in carico nel tempo, articolando il tutto rispetto anche ad una nuova concezione di welfare di comunità, sostenendo e valorizzando quindi anche forme flessibili di servizi alla persona, anche con l’utilizzo dello strumento della coprogettazione e dunque del Budget di salute. Sul punto le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità possono giocare, nel momento della programmazione degli interventi sui tavoli regionali, un ruolo importante, costruendo dei pilastri per un percorso sostenibile nel tempo.


Le più significative proposte, per una legge che effettivamente valorizzi il caregiver, sono quelle della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH) e della Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità (FAND), da sempre impegnate nel richiedere il riconoscimento del ruolo centrale svolto dai milioni di cittadini che si prendono quotidianamente cura e carico di persone con disabilità e non autosufficienti, svolgendo il fondamentale ed insostituibile ruolo di “caregivers familiari”, auspicano che si pervenga al più presto all’emanazione di un’apposita legge che collochi tale figura all’interno della rete integrata di servizi, e riconoscendone ruolo, funzioni ed adeguati sostegni nonché idonee coperture previdenziali. Il tutto è ben dettagliato nella memoria depositata dalla Federazione in 11° Commissione del Senato rispetto alla proposta di legge n. 1461.


Sulla scorta di tali considerazioni, vi è da rilevare che con la legge n. 178/2020 (legge di bilancio per il 2021), all’art. 1, c.334, si è di ritenuto di riallocare le risorse per interventi legislativi non per singoli interventi, destinando le risorse dell’apposito Fondo alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività di cura non professionale del caregiver familiare, come definito al comma 255, dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205. Tale fondo avrà una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023.


Ci sono altre misure esistenti per i caregiver e la più rilevante credo sia l’introduzione del c.d. contributo per mamme disoccupate o monoreddito  (Art. 1, commi 365 e 366, l. 178/2020) che riconosce alle madri disoccupate o monoreddito facenti parte di nuclei monoparentali con figli a carico aventi una disabilità riconosciuta in misura non inferiore al 60%, un contributo mensile nella misura massima di 500 euro netti, per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, nel limite massimo di spesa per lo Stato di 5 milioni di euro per ciascuno dei 3 anni.  Con un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 1 marzo 2021, saranno stabiliti i criteri per l’individuazione dei destinatari e le modalità di presentazione della domanda. Ciò potrebbe chiarire anche alcune incertezze, anche di tipo applicativo, sorte con riferimento a tale misura. Qualcosa è stato inserito anche nella Legge di bilancio per il 2021.


Per concludere, è opportuno ricordare che un Disegno di Legge su questa materia già giace in Parlamento da diverso tempo, senza che se ne venga a capo. Fa eccezione l’Emilia-Romagna, dove questa figura è stata riconosciuta da tempo con la Legge Regionale 2/2014. Ma nei fatti, al momento, a parte i permessi retribuiti previsti dall'articolo 33 della Legge 104/1992, i/le caregiver familiari non hanno tutele né riconoscimenti per il loro lavoro, neanche quando per svolgerlo si ritrovano a dover lasciare il lavoro retribuito.




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Shuttleworth, R. (2004). “Disability/Difference”. Encyclopedia of Medical Anthropology.


Shuttleworth, R., & Kasnitz, D. (2004). “Stigma, community, ethnography: Joan Ablon’s contribution to the anthropology of impairment/disability”. Medical Anthropology, 18(2), 139–159.


Talle, A. (1995). “A child is a child: Disability and equality among the Kenya Maasai”. In B. Ingstad & S. Whyte (Eds.), Disability and culture (pp. 56–72). Berkeley: University of California Press.

Bibliografia di “La Cultura della Care nel Museo”

Definizione ICOM di “Museo” in http://www.icom-italia.org/definizione-di-museo-di-icom/


Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Faro 27/X/2005, in https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1492082511615_Convenzione_di_Faro.pdf 


http://musei.beniculturali.it/notizie/notifiche/linee-guida-per-la-redazione-del-piano-di-eliminazione-delle-barriere-architettoniche-p-e-b-a


Greco G. M. (2017). “L’accessibilità culturale come strumento per i diritti umani di tutti”, in Cetorelli G., Guido M. (a cura di), in “Il patrimonio culturale per tutti: fruibilità, riconoscibilità, accessibilità”, MIBACT, Quaderni di valorizzazione n. 4, pp. 97-105,http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2018/06/Il-patrimonio-culturale-per-tutti.-Fruibilita%CC%80-riconoscibilita%CC%80-accessibilita%CC%80.-Quaderni-della-valorizzazione-NS-4.pdf


Miglietta A. M. (2017), “Il museo accessibile barriere, azioni e riflessioni”, in Museologia Scientifica (nuova serie), n.11, pp. 11-30, http://www.anms.it/upload/rivistefiles/464f12f5c5e22f2121f17a1faf35c7d4.pdf


Cetorelli G. (2020), “Il museo come esperienza globale. Strategie per la partecipazione, l’inclusione e la trasformazione sociale nei luoghi del patrimonio statale”, in Museologia scientifica Memorie, n.21, pp. 10-15, http://www.anms.it/upload/rivistefiles/4f5675d284248eef30aa50908d137337.pdf

Bibliografia di “La Care nella Rete Sociale” 

Castelli, B., Guzzi, R., Rampinini, M., Solari, S., & Colleoni, M. (2010). “Il dialogo collaborativo tra famiglie, servizi, istituzioni e territorio a favore dell’inclusione sociale della disabilità”.


Cognetti F., Cellamare C. (2007). “Quartieri e reti sociali: un interesse eventuale”.


Luciano E., Marcuccio M. (2017). “Famiglie e servizi: verso una tipologia di forme di partecipazione nei servizi per l’infanzia”. Rivista Italiana di Educazione Familiare.


Seed P. (1997). “Analisi delle reti sociali. La network analysis nel servizio sociale” (Vol. 28). Edizioni Erickson.


Zafroni E., & Maggiolini S. (2018). “Sostenere la famiglia che vive la disabilità di un figlio: il ruolo dell’associazionismo familiare”. Annali online della Didattica e della Formazione Docente.




Bibliografia di “La Care nella Scuola”

Costituzione della Repubblica Italiana, 1947; Legge n. 78/1949; Legge n. 698/1950; Legge n. 66/1962; Legge n. 1859/1962; Legge n. 118/1971; Legge n. 517/77; Legge 104/1992; Nota prot. n. 4274 del 4 agosto 2009; Legge n. 170/2010; DM n. 5669 12 luglio 2011; Direttiva MIUR del 27/12/2011. Le leggi sono consultabili sul sito della Gazzetta Ufficiale https://www.gazzettaufficiale.it/ 


Convention on the rights of persons with disabilities, ONU, 2007. 


ICF, International Classification of Diseases, 2001 


Addis P., (2017), “Poteri normativi del Governo e politiche della disabilità”, in L. Azzena - E. Malfatti (cur.), Poteri normativi del governo ed effettività dei diritti sociali. Atti dell'incontro di studi (Pisa, 27 ottobre 2016). 


Giancaterina F., “Come sono cresciute le persone con disabilità in Italia dal dopoguerra, fra buone leggi e pratiche a macchia di leopardo…”, pp. 41-51, pubblicato nella rivista Impresa Sociale, Euricse Edizioni, European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises, Trento. 

 

Griffo G., “La Convenzione Internazionale ONU dei diritti delle persone con disabilità e gli sviluppi delle prospettive inclusive nei paesi europei”, pp. 52- 62, pubblicato nella rivista Impresa Sociale, Euricse Edizioni, European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises, Trento. 


Harpur P. (2012), “Embracing the new disability rights paradigm: the importance of the Convention on the Rights of Persons with Disabilities”, pp. 1-14, pubblicato in Disability & Society, Vol. 27, No. 1. 


Bibliografia di “La Care nel Diritto”

Misure della Legge di Bilancio per l’anno 2021 di interesse per le persone con disabilità loro familiari e associazioni”, in http://www.handylex.org/news/2021/01/29/misure-della-legge-di-bilancio-per-l-anno-2021-di-interesse-per-le-persone-con-disabilit-loro-familiari-e-associazioni.


Memoria con le modifiche proposte dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) al Disegno di Legge 1461 (Disposizioni per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare), in http://www.informareunh.it/riconoscere-ruolo-e-funzioni-dei-caregiver-familiari-con-sostegni-adeguati/.


Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza”, in http://www.informareunh.it/wp-content/uploads/LeggeRegionaleEmiliaRomagna-n-2-2014-Caregiver.pdf.




Toscana. Novità per i gravissimi

Toscana, nuove disposizioni per le persone con disabilità gravissime SIMONA 17 GIUGNO 2022 Nei giorni scorsi la Regione Toscana ha introd...